Inflammaging: nuovo paradigma dell'infiammazione.
- fvcigognetti
- 11 ott 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Nel Febbraio del 2004, la prestigiosa rivista americana TIME uscì con un’interessante copertina dal titolo: “Inflammation: the secret killer” ponendo l’accento, in maniera molto decisa, su quanto l’infiammazione stesse iniziando, con evidenze scientifiche sempre più forti, ad essere ritenuta responsabile di patologie mortali, quali malattie cardio e cerebrovascolari, tumori e BPCO.
Nell’editoriale si affermava che una scheggia in un dito potesse essere messa in relazione con la M. di Alzheimer…. È proprio così?
Scopriamolo insieme!
Negli ultimi 20 anni la ricerca scientifica ha compiuto passi da gigante e, grazie agli incredibili sviluppi nel campo della biologia molecolare, ha permesso di individuare i sottilissimi meccanismi cellulari che sottendono all’infiammazione.
L’infiammazione non è altro che la risposta dell’organismo ad un insulto di qualsiasi natura: infettiva (virus, batteri ...) fisica, chimica, termica; infatti, quando l’organismo viene in qualche modo spostato dalla sua omeostasi, intervengono immediatamente dei sistemi di difesa, che, grazie all’attivazione di particolari geni, producono sostanze, chiamate citochine, deputate all’attivazione del sistema immunitario e della cascata infiammatoria.
Dagli albori della medicina classica l’infiammazione è sempre stata oggetto di studio, in quanto ritenuta fondamentale nell’esordio e nel perpetrarsi dei processi patologici; l’infiammazione è stata, infatti, classificata come un processo fisio-patologico stereotipato, articolato in 6 specifiche fasi consequenziali:
1. RILASCIO DI MEDIATORI FLOGOGENI secondario ad input nervoso
2. VASODILATAZIONE
3. AUMENTO DELLA PERMEABILITÀ VASALE E FORMAZIONE DI ESSUDATO
4. MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI PER CHEMIOTASSI
5. MIGRAZIONE DI LINFOCITI
6. ELIMINAZIONE PER FAGOCITOSI DA PARTE DEI LEUCOCITI, DELLE TOSSINE E DEI DETRITI DELLA REAZIONE INFIAMMATORIA.
Queste fasi danno origine, a loro volta, ai segni tipici che la definiscono: rubor, tumor, calor, dolor e functio lesa.
Normalmente, dopo una prima fase reattiva, mirata all’allontanamento ed all’annientamento dell’ agente che ha provocato l’infiammazione, ne segue una di riparazione dei tessuti e degli organi coinvolti, con la restitutio ad integrum ed il ritorno all’equilibrio dell’intero sistema; qualora, questa seconda fase di risoluzione non venga correttamente e prontamente attivata, lo stato infiammatorio si protrae, danneggiando quegli stessi tessuti ed organi che si sarebbero dovuti, invece, proteggere: si instaura cioè uno stato infiammatorio cronico.
La specie umana si è evoluta, nel corso dei millenni, grazie all’abilità di sopravvivere alle infezioni, in tempi nei quali mancavano farmaci e la possibilità di proteggersi da virus e batteri; ora però, queste stesse strategie adattative sembrano sfuggire un po’ di mano e tutte le abitudini di vita occidentale, dalla dieta, troppo ricca di alimenti raffinati e zuccheri, alla scarsa attività fisica, dallo stress all’inquinamento, sostengono un certo grado di infiammazione cronica, che prende il nome di: “low grade inflammation”.

Oggi sappiamo che una precisa famiglia di fattori trascrizionali inducibili, chiamati NFkB, è implicata in diversi processi che coinvolgono il sistema immunitario e quello infiammatorio e che la conoscenza specifica di ciò che li attiva o inibisce, date le temibili conseguenze che uno stato infiammatorio cronico determina sull’organismo, rappresenta un target terapeutico molto interessante ed in continua crescita: per questo, negli ultimi decenni, l’infiammazione è diventata uno degli aspetti più studiati in campo medico (1).
La famiglia degli NF-kB è implicata nella patogenesi di un gran numero di malattie infiammatorie: artrite reumatoide, IBD (malattia infiammatoria intestinale), sclerosi multipla, LES (lupus eritematoso sistemico), aterosclerosi, Diabete tipo I, BPCO e asma.
In risposta a differenti stimoli cellulari, la famiglia degli Nf-kB gioca un ruolo molto complesso in differenti linee cellulari, per quanto riguarda l’omeostasi immunitaria e l’infiammazione cronica, soprattutto nel campo delle patologie autoimmuni, nella tumorogenesi, nell’infiammazione cronica e nell’aging, locale e sistemico (2).
Negli ultimi anni, infatti, si è osservata un’impressionante convergenza, dai vari campi della medicina (cardiologia, neurologia, ginecologia, immuno-reumatologia, oncologia, psichiatria), sul focus di innesco di moltissime patologie croniche: cardiovascolari, cerebrovascolari, cerebro-degenerative (m. di Alzheimer, M. di Parkinson, demenza senile), auto-immuni, tumorali, tutte, se non innescate, almeno sostenute da stati di infiammazione cronica sistemica.
Non di meno, molti dei geni attivati in risposta a stressori acuti e cronici, sono i medesimi che vengono attivati anche in corso di infiammazione, anzi è stato dimostrato da diversi autori che un’attivazione cronica del sistema immunitario provocata da un’esposizione prolungata allo stress, contribuisca a creare un carico allostatico dalla chiara diatesi infiammatoria, come si osserva nell’ansia e nella depressione; l’esposizione cronica allo stress, può determinare infiammazione sia a livello del sistema nervoso periferico, che centrale, alterando il metabolismo di alcuni neurotrasmettitori ed attivando alcune specifiche regioni corticali, che provocano comportamenti alterati in senso dis-regolatorio (ansia, fatica cronica, anedonia). (3)
Chronic inflammation may be the engine that drives many of the most feared illnesses of middle and old age.
Dr. Peter Libby, chief of cardiovascular medicine at Brigham and Women’s Hospital in Boston
Alla luce di queste evidenze si comprendono e definiscono meglio i meccanismi di bio-regolazione alla base della risposta infiammatoria e quanto sia importante parlare oggi di: “immunoflogosi”, piuttosto che di semplice: “infiammazione”.
Uno stato di immunoflogosi protratto, sostenuto da: scorrette abitudini alimentari, sedentarietà, stress di vario tipo, inquinamento ed infiammazioni varie, con le quali normalmente si convive, tenendole a bada con anti-infiammatori, cortisonici e altre terapie, non deve, invece, essere ignorato, in quanto porta necessariamente allo sviluppo di patologie croniche invalidanti, ritenute tra le prime cause di mortalità nel mondo occidentale.
Ciò che la classe medica è chiamata oggi a fare è attenzionare anche i piccoli disturbi che vengono riferiti dai pazienti, promuovere stili di vita e abitudini corrette, proporre una medicina in grado di trattare non la malattia, ma la persona, perché anche una scheggia in un dito, una piccola carie, un’infiammazione articolare portano, nel tempo, se non trattate, a conseguenze e danni ben più gravi.

Bibliografia
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